più di 30 e meno di 40 anni tra idee, stili, emozioni e tutto ciò che ho da dire e la mia nuova vita come mamma di due meravigliose creature.
martedì 27 novembre 2012
Nuovi scenari di lavoro: i coach motivazionali
In tempi di crisi, il tema “Lavoro” è sicuramente uno dei più caldi, per la difficoltà nel trovarlo e nel mantenerlo. Come aiutare coloro che si alzano ogni mattina accentando mansioni non in linea con il loro percorso, o manager affermati ormai in crisi e disorientati dai mille cambiamenti? A seguire alcune interessanti ricerche e strumenti per capire e accendere la motivazione.
Phil Jackson, ex coach dei LA Lakers disse: “ Io non motivo i miei giocatori, non puoi motivare qualcuno, tutto ciò che puoi fare è creare un ambiente motivante e stimolante, poi saranno i giocatori ad auto-motivarsi”. Non posso che essere d’accordo ma, prima di spiegarne il motivo, vorrei fare alcune piccole ma utili premesse. Innanzitutto esistono le motivazioni estrinseche ovvero tutti quei fattori esterni che spingono all’azione, come ad esempio le ricompense e/o il denaro , e le motivazioni intrinseche ovvero dettate da fattori interni alla persona come la passione e l’interesse. Un luogo di lavoro dovrebbe essere motivante quindi generare una serie di motivazioni estrinseche all’individuo, ciò che invece farà si che l’individuo dia il massimo dipenderà solo da lui stesso. Il sistema della ricompensa si basa sul meccanismo del condizionamento dove l’azione è dettata dalla legge di causa ed effetto. Questo tipo di ricompensa ha per il lavoratore un effetto nell’immediato, egli cioè è stimolato a terminare un compito perchè, una volta finito, avrà la sua ricompensa. Questo tipo di motivazione non lo renderà felice e soddisfatto nel lungo periodo, poiché una volta terminato il compito e ricevuto la ricompensa egli tornerà allo stato inziale.
Cosa fare quindi? Associare fattori esterni a quelli interni cercando di dare ai lavoratori più controllo (responsabilizzazione), offrire opportunità di crescita facendoli sentire importanti (valorizzazione). Il denaro raramente si è dimostrato essere il metodo più efficace, al contrario invece dare valore ai dipendenti e lasciar loro creare valore è spesso una delle più alte motivazioni a lavorare meglio. Come? Gli studiosi consigliano di partire da alcuni steps: “start small” ovvero dare a se stessi degli obiettivi facilmente raggiungibili all’inzio per poi aumentare il livello di difficoltà/complessità, “motivational tools” seguire seminari e leggere libri che aumentino la conoscenza e la padronanza di una materia/settore ed infine “do something” ovvero passare all’azione, poiché il feedback ricevuto dopo una determinata azione motiverà a ripetere l’azione. Quando invece la spinta motivazionale precede l’azione, ovvero siamo motivati a fare qualcosa solo pensando all’incentivo prima di compiere l’azione che ci permetterà di raggiungerlo, è negativo. Prima si agisce e poi si trova piacere nel fare ciò che abbiamo fatto, solo così avremo la spinta interna a ripeterlo.
Incrementare la produttività lavorativa motivando i dipendenti non è così facile, i tradizionali benefit come sconti, viaggi ecc. sembrano non interessare poi così tanto, così l’anno scorso il Sig. Tom Taraci ha introdotto un sistema di “Virtually motivation”. L’idea non è affatto banale se si considera che numerose ricerche hanno dimostrato che avere un partner/coach virtuale durante lo svolgimento di una attività influenza la motivazione del partecipante migliorando la sua prestazione. La Taraci motivation è una piattaforma scaricabile anche come app che comprende un catalogo di incentivi e regali aziendali per i dipendenti, oltre che ad una serie di servizi come: sistemi di ricompense ai dipendenti per aver svolto un buon lavoro, celebrazione di feste annuali o anniversari per i dipendenti, incoraggiamento creando un ambiente di lavoro sicuro ed ecofriendly.
Data la complessità dello scenario credo che una buona soluzione possa essere il mantenere fede alla tradizione, ovvero lasciare che gli individui trovino all’interno ciò che li spinge a dare di più, aiutandoli con strumenti esterni. Le Risorse Umane dovrebbero maggiormente occuparsi di questa tematica cercando di inserire la persona giusta nel posto giusto, in modo che ogni individuo trovi il suo habitat ottimale per esprimersi al meglio, aumentando la produttività dell’azienda ed essendo allo stesso tempo una persona felice e soddisfatta.
martedì 20 novembre 2012
Perché alcuni team hanno successo (e così tanti no).
Negli ultimi anni i Gruppi di Lavoro sono stati studiati fino alla morte, e i verdetti sono stati emessi. Sono un successo e un disastro. Questi portano a grandi miglioramenti della produttività e si esauriscono inutilmente. La gente li ama e li odia.In realtà, afferma professore di psicologia J. Richard Hackman della Harvard University , i ricercatori hanno trovato che i gruppi di lavoro si riuniscono alle estremità opposte della linea del successo. Molti funzionano splendidamente; molti altri falliscono miseramente. Pochi stanno nel mezzo.La buona notizia è che i gruppi sono stati ben studiati e che molte persone in molte aziende hanno lavorato a lungo in gruppo. Tutta questa ricerca e l'esperienza hanno prodotto una nuova opinione su ciò che distingue i successi dai fallimenti. Ciò che più conta, si scopre, è come i gruppi sono gestiti e se le organizzazioni di cui fanno parte li dotano del supporto di cui necessitano.
L'atto di bilanciamentoI Managers responsabili per le prestazioni del team spesso cadono in una di due trappole. Alcuni continuano a comportarsi come capi tradizionali, dicendo al gruppo che cosa fare e come farlo. Altri pensano di “dare potere” al gruppo mantenendo una politica passiva. Nessuno dei due approcci funziona. Il lavoro del manager, scrive Hackman in uno studio sul lavoro di squadra, è quello di "mantenere un giusto equilibrio di potere" tra lui e la squadra.Che cosa significa questo in pratica? Da un lato, i manager devono precisare gli obiettivi della squadra in modo inequivocabile e senza scusarsi. Questo fa in modo che i gruppi non si perdano su quello che dovrebbero fare. "Per impostare, autorevolmente, una chiara direzione, impegnativa per una squadra ", dice Hackman,"è necessario conferire potere, non toglierlo". "D'altra parte, l'autorità decisionale sui mezzi per raggiungere il fine dovrebbe restare all’interno della squadra stessa. I membri del team possono agire come una squadra solo se loro stessi hanno una responsabilità reale, come la determinazione delle modalità per raggiungere i loro obiettivi.L'esperienza pratica ha insegnato un'altra lezione sull’autorità dei gruppi: la portata della loro libertà di azione può e deve cambiare nel tempo. "Quello che incoraggiamo [i managers] a fare è di cominciare molto lentamente e mantenere i confini molto stretti", spiega Tom Ruddy, un ex manager di Xerox Customer Worldwide Services. "Il gruppo, come inizia a crescere e ad ampliarsi, ad assumersi responsabilità, inizia a spostare questi confini al di fuori." Anche con i team di successo, dice Ruddy, un manager deve essere coinvolto. Anche se una squadra può avere un sacco di potere decisionale, ci deve essere un manager che scruta l'orizzonte per determinare la direzione verso la quale la squadra deve dirigersi.
Imparare a lavorare in gruppoI gruppi devono essere addestrati al lavoro di squadra: i membri spesso hanno bisogno di aiuto in termini di competenze come l'ascolto, la comunicazione con diversi tipi di persone, e restare focalizzati sull’incarico. Questa non è una novità. Ma le aziende hanno imparato, spesso a caro prezzo, che l'approccio comune di "addestra prima e 'raggruppa' poi," non è efficace.Un'alternativa migliore è: la formazione periodica. "Eravamo soliti portare [i membri del team] in una stanza per un percorso di formazione intensiva", dice Ruddy. Ma i membri del team non sapevano che cosa avevano bisogno di imparare. Così Xerox ha ampliato la formazione: una sessione è rivolta a sviluppare norme di comportamento, per esempio, che è seguita da un paio di settimane sul posto di lavoro, poi un'altra sessione per rivedere quelle norme. "La formazione avviene sul posto di lavoro, piuttosto che 'inoculata' tutta in una volta."L'esperienza dimostra inoltre che nulla insegna il lavoro di squadra come lavorare in gruppo per un periodo di anni. I membri non hanno solo da imparare nuove competenze; ma devono anche disimparare i ruoli tradizionali. Linda Savadge dell’Educational Testing Service a Princeton, N.J., ha operato su svariati gruppi. "Ci sono voluti un paio d'anni operando in gruppi differenti, prima che la gerarchia all'interno del gruppo cominciasse a scomparire", dice lei. In Xerox, i membri di un team realizzarono che erano talmente dipendenti dai loro managers da dover adottare misure drastiche. "Abbiamo detto al manager che non gli era consentito di venire alle riunioni" fintanto che la squadra ha funzionato meglio di per sé, dice Rick Crumrine, un customer-service engineer.
Obiettivi e misure di performanceI ricercatori sanno da tempo che ogni squadra di successo è focalizzata sulla prestazione. Il team ha una serie ben definita di obiettivi e concorda i metodi per il loro conseguimento. Ed in più, i membri contano l’uno sull’altro per la prestazione di tutto il gruppo. Queste caratteristiche distinguono una squadra vera da un reparto convenzionale o un’unità lavorativa. "Una squadra", ha scritto Jon R. Katzenbach e Douglas K. Smith in un articolo classico Harvard Business Review, "è un piccolo numero di persone con competenze complementari, che si è impegnato in uno scopo comune, stabilisce la performance degli obiettivi e l'approccio per il quale devono contare gli uno sugli altri reciprocamente".Ma gli obiettivi e le responsabilità richiedono misure che permettano ai team di valutare i loro progressi. Un marchio di un team di successo è che i membri capiscano questa cosa e progettino le proprie misurazioni. Il gruppo di Crumrine, per esempio, ha notato alcuni problemi di prestazioni e ha portato nel processo misurazioni che hanno permesso ai membri di valutare il loro lavoro giorno per giorno. "Invece di aspettare che Xerox ci inviasse le informazioni su come avevamo lavorato, durante il mese potevamo verificare a che punto eravamo in qualsiasi momento".L’ultima idea sulle misurazioni delle performance: le misure devono essere connesse agli obiettivi di business, non solo agli obiettivi operativi. Piuttosto che perseguire un obiettivo di una consegna in tempo migliore, per esempio, i team devono concentrarsi sia sul tasso di consegne in tempo che sul suo rendimento nel business – la soddisfazione del cliente, la fidelizzazione del cliente, e similari. "Le squadre hanno bisogno di capire l'ingrediente del business di quello che stanno facendo e come lo possono influenzare", afferma John Spencer, ex direttore della Camera Technical Center Eastman Kodak (Rochester, N.Y.).Vedere il quadro più grande aiuta i membri a bilanciare gli obiettivi multipli e talvolta conflittuali. Aiuta anche a capire quando è il momento di dichiarare la vittoria - o la sconfitta - e andare avanti. "Non abbiamo nessun problema a dire: "Cancelleremo questo,", dice Spencer, dal momento che i team alla Kodak conoscono le ragioni dietro la decisione del business e possono "focalizzarsi nuovamente attorno a qualcosa che abbia un senso per il [business]."
Supporto dell’AziendaQuando i team divennero popolari, molte aziende li costituirono e subito se ne dimenticarono. Da allora, i ricercatori ed i professionisti hanno imparato che le squadre di successo richiedono un costante sostegno da parte di tutta l'azienda o unità. Tale sostegno può comportare grandi cambiamenti. L'orientamento e la formazione, per esempio, devono essere orientati verso il lavoro di squadra. I Managers possono avere bisogno di essere assegnati al lavoro sui team in modo da avere un'esperienza diretta con le problematiche correlate al team. Joseph Reres, un partner della Potomac Consulting nelle Great Falls, Virginia, raccomanda la creazione di uno "steering committee" per monitorare il lavoro dei teams e che garantisca che i managers aiutino anziché ostacolino, il lavoro di squadra. Le aziende stanno iniziando a confrontarsi con altre forme di sostegno, e non tutti lo hanno fatto con successo.
Due settori chiave: La valutazione e la compensazione. "Una delle cose più difficili per una società è quello di riconoscere che se hanno costituito dei teams, hanno necessità di instaurare riconoscimenti per i teams", ha dichiarato Fritz Mehrtens, un consulente leadership a Irvine, in California "Le Aziende dicono, bene, abbiamo una revisione annuale delle prestazioni, e diamo bonus [individuali], promozioni, tutto questo basato su tale revisione. Questo tende a distruggere il team ed è una parte fondamentale della struttura di sostegno che la società deve cambiare ".
Sistemi di informazione e di accesso. I teams non possono funzionare a meno che non ottengano una buona informazione. I dipartimenti IT, per esempio, possono aver bisogno di creare sistemi che garantiscono al gruppo dei dati specifici. E gli alti dirigenti devono essere pronti a dare alle squadre le informazioni necessarie. "Ciò significa che l'amministratore delegato non deve essere turbato se un membro del team cammina nel suo ufficio e dice: 'Ho sentito che hai detto questo e quello, e ho bisogno di saperne di più," dice Mehrtens. "La società ha bisogno di sviluppare una cultura aperta, che consenta ai membri del team di comunicare ovunque desiderino."Alla luce di questo, dice Hackman di Harvard, "le condizioni per promuovere l'efficacia del team sono facili e apparentemente semplici da mettere in atto." Ma ciò che è necessario per il successo può essere uno strappo nel cambiamento organizzativo, minacciando la corsa e gli interessi dei potenti all'interno del società. In effetti, la creazione di condizioni che rendano i team di successo è "più rivoluzionario del processo evolutivo".Questo non è un ragionamento contro le organizzazioni basate sui team, che può avere ritorni enormi. Ma è un ragionamento per prendere i team sul serio, valutare se possono lavorare, e fare ciò che deve essere fatto per aiutarli ad avere successo. Lasciati alla loro immaginazione, non ce la faranno.
Il cliente oggi è un soggetto che sente sempre più il bisogno di interagire con il brand, esigendo che questo si ponga ad un livello pari, che accetti e desideri lo scambio di opinioni. È questa la convinzione universalmente accettata tra gli addetti ai lavori e che spesso viene data per scontata. Forse troppo. Sono significativi in questo senso i dati, riportati da Socialbakers.com, in un post che approfondisce quanto, effettivamente, la customer care online dei brand sia attenta alle esigenze degli utenti.
Sarebbe ovvio aspettarsi che quando una marca decide di tessere le proprie relazioni con i clienti, questa sia propensa a dialogare con la propria audience, rispondendo alle loro domande (o quantomeno ad una netta maggioranza) e facendolo nel minor tempo possibile, in modo che l’interazione possa essere fluida.
Quello che concretamente avviene è spesso molto diverso. I dati riportati da Socialbakers parlano chiaro: il 70% delle domande su Facebook vengono ignorate. Addirittura, il 25% dei brand decide di “chiudere” la propria bacheca, evitando le domande degli utenti e rinunciando in modo totale al dialogo. Sembra che, ad un cliente ormai divenuto consapevole di quelle che sono le dinamiche di mercato e capace di scelte sempre più personali e autonome, non corrisponda da parte dei brand una adeguata consapevolezza delle nuove dinamiche comunicative.
Distinguerei, semplificando, tre categorie principali della comunicazione web, che derivano da differenti approcci comunicativi: il web come vetrina, lo scambio tronco e la comunicazione social-izzante.
Il primo, ormai riduttivo, approccio alla comunicazione web con il cliente, consiste nell’utilizzare lo spazio web come una vetrina, tramite la quale mettersi in mostra. Era questo l’approccio dei primi siti internet all’epoca della loro prima diffusione in massa. A guardare bene però, la logica comunicativa di quel 25% dei brand che decidono di chiudere le proprie bacheche ed evitare il dialogo, è la stessa di quell’internet fatto di modem 56k e Napster. L’errore che spinge ad un tale riduttivo approccio è quello di sopravvalutare la propria intrinseca forza persuasiva. Questa divinizzazione del proprio brand è oramai inattuale e risponde a criteri di comunicazione unidirezionale che hanno oggi una efficacia assolutamente limitata e circoscritta.
La seconda categoria si riferisce all’approccio di quei brand che provano a coinvolgere l’utente, non solo riportando le notizie e proponendo iniziative ma rendendo l’utente partecipe di quello che è il proprio universo di valori. Tuttavia questo atteggiamento propositivo, teso ad accompagnare gli entusiasmi dei clienti, si trasforma troppo spesso in un atteggiamento di chiusura quando ad essere espressi sono le critiche, il malcontento, le domande scomode. Una scelta di questo tipo deriva dal timore di proteste o attacchi al brand. Il rapporto con i fan è vivo solo quando il feedback è positivo, ma il brand evita il dialogo costruttivo sui temi più controversi.
Un social media manager capace dovrebbe invece non solo accettare le critiche, ma trovare in esse, più ancora che nelle manifestazioni di entusiasmo, l’occasione per mostrarsi attento ed interessato ai bisogni e agli umori del cliente. Non rispondere ad una questione sollevata da un utente non equivale soltanto ad assumere una posizione neutra ma indispettisce il proprio target rischiando di renderlo diffidente o addirittura ostile. D’altro canto una partecipazione interessata e coinvolta da parte della marca alle problematiche o alle preoccupazioni dei fan, rafforza il vincolo di fiducia ed è qui che il brand si mostra come persona e ponendosi allo stesso livello del singolo cliente, costruisce la relazione.
La caratteristica intrinseca di un social media consiste nel suo essere uno spazio destinato allo scambio comunicativo. Tale scambio dovrebbe essere il più possibile spontaneo e libero da vincoli. È indubbio che la capacità di convergere l’attenzione del pubblico, rende il social media un mezzo perfetto tramite cui i brand possono stabilire relazioni. Purchè questo avvenga però, è necessario che il brand accetti e condivida le regole del contesto in cui ha scelto di muoversi. In fondo la grande potenzialità di un social network è proprio quella di connettere due entità e farle “diventare amiche”. Il brand, in questo, non è un’eccezione.
giovedì 15 novembre 2012
Il suo spettro gira ancora per l'Europa. Chissà se questa frase scritta da Marx sia ancora attuale nel periodo che stiamo vivendo oggi.
In Europa si stà risvegliando un senso comune di riscatto o forse di vendetta sociale, che fino ad oggi era stato assopito da una sbornia di benessere collettivo, che ha chiuso gli occhi alle persone per molti decenni. Questa situazione insostenibile che si è venuta a creare ha fatto aprire gli occhi alle persone e alle generazioni più giovani. In questo periodo come è stato battezzato " di crisi", bisogna far si che i poteri forti ( come banchieri, grande finanza, broker,speculatori, politici corrotti) debbano cadere, per far ritornare le popolazioni a vivere bene e non essere angosciati dalla crisi che loro hanno creato e che loro pagheranno non noi.
La vera rivoluzione nasce dentro di noi.
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