venerdì 26 aprile 2013

NASCITA DELL'IDENTITA' DIGITALE E SVILUPPO DEL "DOPPIO"


I primi tipi di relazione si svilupparono in rete grazie al peer-to-peer, sistema che permette agli utenti di scambiarsi informazioni e file. Il caso più noto è quello di Napster, che negli anni Novanta ha consentito (fino alla chiusura forzata del servizio) agli amanti della musica di scaricare gratuitamente milioni di canzoni in formato digitale, mettendo in crisi il mercato economico musicale. Per rendere possibile questo tipo di servizi è necessario non solo un sito web centrale che svolga funzioni di coordinamento, ma anche che ogni utente renda pubblica una parte del proprio archivio.
Un altro fenomeno importante è quello dei blog, siti in continua evoluzione che contengono informazioni personali organizzate come un diario (cioè classificate in base al giorno in cui l'informazione è stata introdotta). I blog stanno riscuotendo grande successo poichè risultano molto semplici da usare, visto che possono essere considerati come l'evoluzione dei forum di discussione. Ma la caratteristica che più li sta rendendo popolari è il fatto che consentono di utilizzare il cellulare per introdurre informazioni nel sito.  Terzo fenomeno interessante è il progressivo affermarsi di un identificativo personale di tipo digitale quale l'indirizzo di posta elettronica, che rappresenta in maniera univoca ogni utente in rete. Ma alcuni utenti associano a questo indirizzo anche un soprannome, che può assumere una veste grafica e prendere il nome di avatar. 
Erving Goffman
La diffusione sempre più radicale di questi identificativi digitali prelude ad un fenomeno rivoluzionario: la nascita del "sè digitale".
Nel fenomeno di interazione con altri utenti, sta acquistando grande importanza il "rappresentarsi bene in rete". Già Goffman aveva studiato le modalità di presentazione dell'uomo, e come ricucire eventuali discrepanze che possono nascere tra l'immagine del proprio sè e l'immagine che si manifesta in alcune situazioni. In rete una delle tecniche emergenti di presentazione del sè è, appunto, il ricorso agli avatar, che possono essere pensati come vere e proprie maschere digitali da indossare per entrare nello spazio virtuale. Questo concetto di lega fortemente a quello del doppio, la cui presenza era già stata individuata in tempi remoti. Il concetto originario associato alla nozione di doppio è sicuramente quello dell'anima vista come veicolo per l'immortalità.
Il doppio concentra su di sè tutti i bisogni dell'individuo; in primo luogo, quello follemente soggettivo: l'immortalità. Il doppio è effettivamente universale. Certamente l'ombra è stata fra le prime associazioni al doppio, vista come entità minore e soprattutto connotata negativamente a causa della mancanza di luce. L'uomo interagisce con l'ombra cercando di "ricostruirla" o di schiacciarla. L'ombra è un doppio che ci accompagna costantemente, come lo specchio che riflette un'immagine proiettata, alienata che si manifesta come essere autonomo dotato di una propria realtà. Quindi è opportuno affermare che le nuove tecnologie digitali hanno creato nuove occasioni di vivere il doppio. Dai giochi di ruolo alle conversazioni on-line, costantemente sperimentiamo una nuova identità, che può essere modificata continuamente. Come Morin asseriva qualche anno fa, "il doppio è un vero e proprio universo". Ciò è certamente vero se si considera che ci sono i doppi reali (gemelli), quelli mascherati su cui tanta fortuna hanno fatto i fumetti (Batman, Superman, Spiderman, Diabolik, ecc.) fino ad arrivare a storie parallele, magistralmente raccontate al cinema come ad esempio Sliding doors. 
Ma la più completa rappresentazione del doppio emerge nell'attore, costantemente diviso tra la propria identità e quella che rappresenta. Internet offre la possibilità di costruire un'identità multipla, di ascendenza teatrale, legata al gioco di una diversa "rappresentazione" che si vuole dare di sè stessi in quello che può essere considerato un vero mondo a parte: il mondo virtuale.
Il cyborg, il ciberspazio, implicano ormai una riscrittura radicale del concetto tradizionale di individuo delimitato come unità sociale standard in uno spazio prevalentemente delimitato.
La realtà virtuale consente la costruzione di nuovi luoghi, i quali danno alle persone la possibilità di astrarsi completamente dal loro spazio fisico per agire e interagire in uno spazio artificiale creato per mezzo della tecnologia, dove tutti i vincoli che la fisicità avrebbe imposto loro cessano di esistere.

mercoledì 24 aprile 2013

IL CINEMA NELLA SOCIETA' DI MASSA

Il cinema, fin dalla sua nascita, ha rivestito un ruolo predominante nei processi dell'industria culturale, della comunicazione e soprattutto si è insediato nelle pratiche dell'immaginario collettivo. Benchè Luis-Jean e Auguste Lumière abbiano brevettato il cinematografo più di cento anni fa, oggi il cinema non si presenta come un relitto di un'età precedente ma, al contrario, come uno dei media più attivi della stessa industria culturale. 
Un medium di grande rilievo, forse quello che più caratterizza il XX secolo, soprattutto perchè partecipa attivamente al processo di trasformazione della società, che racconta e mette in scena la metropoli riuscendo a stare al passo con il suo repentino cambiamento. In questa visione, il cinema s'impone come uno dei cardini delle dinamiche di socializzazione.
Nell'interpretazione del fenomeno cinematografico di Kracauer , la cinematografia diventa attenta e laica interpretazione delle dinamiche sociali e i film sono lo specchio della società presente. Il sociologo                                  
Kracauer

tedesco, attento osservatore dell'impatto del cinema sul pubblico, afferma che i film di una nazione riflettono la sua mentalità, le sue trasposizioni, le sue tendenze, i suoi bisogni, in una parola la sua psicologia in un periodo circoscritto.
La società, continua Kracauer, è un organo troppo potente per consentire rappresentazioni a lei non gradite, quindi i film devono rispecchiarla. 
Ci troviamo qui al cospetto di un passaggio fondamentale degli studi sul cinema: è con Kracauer e la prospettiva della scuola di Francoforte che questo medium inizia ad essere considerato come elemento che partecipa all'azione interindividuale. I francofortesi comprendono, infatti che il cinema non è solo spettacolarizzazione. E' difatti proprio attraverso il cinema che si diffondono stereotipi di una formazione sociale. Lo schermo mostra il mondo in una determinata epoca, la macchina da presa cerca quello che appare importante a tutti, mostra la società moderna e sempre più spesso sullo schermo scorrono tracce della quotidianità e delle sue trasformazioni. Oggi, proprio su questi presupposti, la sociologia del cinema sottolinea che per analizzare la società bisogna vedere ciò che l'industria cinematografica ci rivela, visto che i film possono essere considerati come la somma delle ideologie sociali. Gli spettatori sono rassicurati dal vedere rafforzato ciò che sanno, il film persuade per il fatto che si conforma ad un sapere precedente che viene in un certo modo legittimato; si è più sensibili verso ciò che si conosce. Lazarfeld e Merton ci presentano il cinema con una duplice funzione: da un lato come elemento di modernizzazione e dall'altra come compensazione degli effetti della modernità, così che non incarna solo il senso di alienazione metropolitana, ma anche le dinamiche culturali e i bisogni sociali. 
A questo punto si deve sottolineare il fatto che il cinema si affaccia sulla scena dell'industria culturale in quanto processo attivo nel quadro degli sviluppi sociali, partecipa ad essi e si costruisce sulla spinta delle loro dinamiche di attivazione, e infine ha il preciso dovere di cogliere la portata delle trasformazioni sociali. Non si può, dunque, negare che il film sia intimamente penetrato nelle tendenza e nelle aspirazioni dell'epoca nella quale viene prodotto, e grazie ad esso si riesce ad esporle e a svilupparle.
Di contro Marc Ferro vede l'immagine non come una copia esatta della realtà ma come un rilevatore: la macchina da presa svela il segreto, mostra anche il rovescio; insomma il film sarebbe una specie di contro analisi della società perchè, a differenza della letteratura, il cinema non possiede il controllo degli strumenti di cui si serve, registra dettagli all'apparenza minuscoli la cui presenza, a volte, basta per rivelare altri sistemi di lettura. Comunque sia il cinematografo dei Lumière, come innovazione tecnologica, ha contribuito ad amplificare aspettative e bisogni del pubblico nei riguardi del consumo di immagini. Il cinema impersonifica non solo situazioni reali e possibili, ma fa nascere sogni e desideri a chi, seduto in poltrona, guarda lo schermo.


giovedì 18 aprile 2013

Lo spettatore di fronte al film: riconoscimento e identificazione


Il cinema è si considerato un'arte, la settima, ma non appena lo si prende in considerazione come mass-medium e come fenomeno sociale si nasconde totalmente la situazione estetica vissuta da ogni spettatore. E quello che viene nascosto è proprio l'essenziale. Sappiamo sempre di essere in una poltrona a contemplare uno spettacolo immaginario: viviamo il cinema in uno stato di doppia coscienza; ma non lo percepiamo, non lo analizziamo. Il cinema è forse realtà, ma è anche qualcos'altro, che produce emozioni, sogni. Il cinema è niente senza i suoi spettatori. 
Quando guardiamo un film, seguendo gli attori, entriamo nella finzione. Per poco che le poltrone siano comode, il sonoro comprensibile, noi dimentichiamo la nostra situazione presente, ci sentiamo vicini all'eroe, al centro dei pericoli o dei piaceri. L'identificazione con un personaggio, un gruppo, una comunità, è caratteristica della relazione stabilita dal fruitore con un qualsiasi sistema di finzione. E' chiaro che ci è difficile seguire un film se non ci viene messo qualcosa che ci riguarda. Lo spettatore, quindi, risulta implicato due volte nella proiezione. Prima da quella parte di interessi personali che introduce nel film, cioè l'identificazione; poi dal fatto che è testimone dello spettacolo: non c'è film senza un probabile spettatore. La comprensione del racconto ci appare come un'operazione di classificazione. 
Per la maggior parte degli osservatori, l'identificazione agisce dallo schermo verso il pubblico; gli spettatori rivivono su se stessi ciò che vedono, si mettono al posto dei personaggi. Identificare equivale, quindi, a dare un'identità e poi ad interpretare le sensazioni derivanti da questa identità. 
Casetti dà un'esaustiva definizione dello spettatore: 

E' un piccolo nodo tra l'intoppo e il garbuglio. In fondo è così che si presenta lo spettatore, a ripassare il filo dei diversi discorsi sul cinema, la spia di possibili contrasti più che un referente sicuro, il frammento di un puzzle più che un disegno completo, insomma una figura un poco cifrata anche là dove se ne manovrano i contorni.

S'intravede una frattura, una linea di confine. Ovvero, da un lato si pensa allo spettatore come a un decodificatore, qualcuno che deve e che sa decifrare un gruppo di immagini e di suoni, un visitatore attento che passo passo recupera il senso della rappresentazione, uno snodo che al termine del circuito riporta in chiaro i segnali cifrati. Dall'altro lato, si pensa allo spettatore come ad un interlocutore, qualcuno cui indirizzare delle proposte e da cui attendere un cenno d'intesa; un complice sottile di quello che appare sullo schermo. La prima figura s'impone intorno agli anni Sessanta, nell'ambito dello strutturalismo. E' il decodificatore che si afferma come una presenza precisa oppure marginale. Ci troviamo, insomma, alle prese con una sorta di servo di scena, che pur facendo parte della compagnia è esterno alla recita. I tentativi di uscire da questa situazione iniziano a partire dagli anni Settanta.
Con il mutare del profilo dello spettatore muta, di conseguenza, anche il modo d'intendere la sua presenza: se prima si pensava a qualcuno ai bordi della rappresentazione, un visitatore occasionale o un semplice utente, adesso si pensa a qualcuno chiamato ad annodare i fili della trama. Un vero beneficiario, visto che è per lui che s'intreccia la tela. Dunque non abbiamo più a che fare con un bersaglio messo lì per essere centrato, ma un partner cosciente. 
Con il mutare del profilo dello spettatore, muta contemporaneamente il modo d'intendere il suo intervento: se prima si credeva che per affrontare le immagini e i suoni bastasse il possesso di un cifrario - ovvero un repertorio di segnali, di una lista di corrispondenze tra significati e significanti, di una tavola di possibili associazioni - adesso si crede necessaria anche una conoscenza in grado di padroneggiare l'intera situazione. Quindi ben lontano dallo scendere in campo disarmato e ben prima di offrire una reazione personale, chi siede in sala contribuisce attivamente a costruire ciò che appare sullo schermo: ad esempio, quando mette insieme indizi sparsi per ricomporre un carattere o per ricostruire un luogo; quando fornisce una cornice ai dati per mettere in chiaro il loro vero valore; quando ripercorre le linee del quadro per cogliere l'essenziale; quando riempie i buchi del racconto per restituire alla vicenda tutta la sua completezza. Dunque chi siede nelle sale cinematografiche vive con il film, anzi vive dentro il film. Lo spettatore, insomma, s'impegna a guardare: alla disponibilità del mondo sullo schermo risponde con una propria vocazione.

venerdì 12 aprile 2013

IL PENSIERO SOCIOLOGICO E LO SPETTACOLO DELLE IMMAGINI IN MOVIMENTO


Sono passati più di cento anni dalle proiezioni dei fratelli Lumière e fin dai primi spettacoli questa grande invenzione suscitò negli spettatori l'emozione di chi assiste ad un evento del tutto nuovo e sorprendente, a metà strada fra la meraviglia tecnica e la magia. Oggi il cinema è diventato una componente essenziale e quotidiana della vita e ogni giorno sono milioni le persone che affollano le sale cinematografiche; si vive in un fiume inesauribile di immagini audiovisive che documentano i problemi e le vicende del nostro tempo, ma che invitano anche allo svago e al divertimento. 
Il cinema, in particolare, esercita sul pubblico una speciale suggestione per l'illusione di realtà che lo caratterizza, una vera "fabbrica dei sogni". Andare al cinema è inevitabilmente compiere un rito sociale e integrarsi all'insieme di coloro che assistono ad uno spettacolo.
Quindi lo spettacolo cinematografico si svolge secondo un rituale socialmente organizzato: si spegne la luce all'inizio del film, la si riaccende nell'intervallo ecc. Siamo talmente educati a queste pratiche che ci sembrano normali, inevitabili. 
Alle origini del cinema, ragioni varie che gli storici non hanno mai cercato di chiarire, indussero ad adottare la proiezione al buio; l'abitudine si è perpetuata al punto che oggi il pubblico accetta con difficoltà la penombra.
Inoltre, la maggior parte dei film sono costruiti su una storia; eppure la storia non è che un aspetto del film. Ci si deve interessare prima alla costruzione e all'utilizzazione del materiale filmico. In questo materiale, l'immagine occupa uno spazio enorme. 
Secondo Sorlin: un film non è nè una storia, nè un duplicato del reale fissato su celluloide; è una messa in scena sociale. E questo per due ragioni: il film costituisce prima di tutto una selezione, poi una ridistribuzione, riorganizza con elementi presi, in sostanza, nell'universo ambientale un universo sociale che per certi versi ricorda l'ambiente da cui è uscito, ma nella sostanza, nè è una sua trasposizione fantastica.

Prendendo spunto da persone e luoghi reali, da una storia a volte autentica, il film crea un mondo proiettato. Ma sul realismo o non realismo del cinema si è aperto un dibattito dove la posizione di Andrè Bazin è tra le più interessanti e, insieme, più contraddittoria. 


Andrè Bazin
Bazin ritiene, infatti, il cinema una forma di partecipazione al mondo e, allo stesso tempo, la tecnica più adatta a svolgere quella funzione preservativa nei riguardi della vita che l'autore attribuisce all'intera storia delle arti plastiche. Possiamo cogliere, nell'idea baziniana, un riferimento al "complesso della mummia" di Morin che vuole il rito della sepoltura come un momento di accensione dell'immaginario. 




In questo contesto, quindi, il cinema libererebbe l'arte dell'uomo, ricalcando la realtà sia nello spazio sia nel tempo e aggiungendole una dimensione ulteriore, quella dell'immagine che non rappresenta la realtà stessa, ma piuttosto la prolunga. Il cinema, come ogni figurazione, è un'immagine ma, come la fotografia, è un'immagine dell'immagine percettiva e, più della foto, è un'immagine animata, cioè viva. Quindi proprio perchè rappresentazione di rappresentazione viva, il cinema ci chiama a riflettere sull'immaginario della realtà e sulla realtà dell'immaginario. Tutto fa perno sull'immagine, perchè questa non è solo il punto d'incontro tra reale e immaginario ma è l'atto costitutivo radicale e simultaneo del reale e dell'immaginario. Morin parla dell'immagine che non è un doppio, un riflesso, cioè un'assenza. L'immagine è una presenza vissuta e un'assenza reale, una presenza-assenza. 
La qualità del doppio può essere proiettata in ogni cosa. E' proprio in virtù di questo, è in possesso di una qualità particolare che viene chiamata estetica e che ha la stessa origine della qualità del doppio. Doppio e immagine devono essere considerati come due poli di una stessa realtà.
Possiamo allora affermare che il linguaggio del cinema ha la stessa continuità dialettica del linguaggio delle parole, ma è molto meno differenziato. Il linguaggio del cinema si pone tra quello delle parole e quello della musica; per questo è riuscito ad attirarli e ad associarli a sè in una polifonia espressiva. Il film si presenta, dunque, come il momento in cui due realtà si ricongiungono: quella incorporata nella pellicola e quella dello spettatore. La partecipazione che crea il film è creata dal film, è nel film, nucleo nascente del sistema di proiezione-identificazione che s'irradia nella sala. 
Vero e proprio robot dell'immaginario, il cinema immagina per me, al mio posto e al tempo stesso fuori di me con un'immaginazione più intensa e più precisa. Il film rappresenta e, al tempo stesso, significa. Il film riconduce il reale, l'irreale, il vissuto, il ricordo, il sogno ad uno stesso livello mentale. 
Il cinema è, però, montaggio, vale a dire scelta, deformazione, trucco. Le immagini da sole non sono nulla, solo il montaggio le converte in verità o in menzogna. Attraverso tutti i film si effettua un deciframento documentario del mondo visibile, lo spazio e il tempo non sono più ostacolati ma si sono ormai confusi in un medesimo plasma. Le tecniche filmiche"intrattengono" i nostri sogni. Il cinema diventa uno specchio, ma è al tempo stesso una macchina. E' il prodotto di un'era meccanicistica. Fa parte di quelle tecniche moderne che ricostituiscono, sul piano pratico, l'ubiquità, la presenza-assenza, la metamorfosi.
Il cinema non si accontenta di dotare l'occhio biologico di un prolungamento meccanico che gli permetta di vedere più chiaramente e più lontano, non si limita a sostenere il ruolo della macchina nel mettere in moto operazioni intellettuali. E' la madre dell'immaginario e, inversamente, l'immaginario è determinato dalla macchina. Questa macchina, votata non alla fabbricazione di beni materiali ma alla soddisfazione di bisogno immaginari, ha suscitato un'industria del sogno. 
Con il cinema possiamo finalmente visualizzare i nostri sogni perchè questi si sono immersi sulla vita reale. Per la prima volta, grazie ad una macchina, i nostri sogni sono proiettati, vengono fabbricati industrialmente, condivisi collettivamente.

giovedì 11 aprile 2013

Il cinema come esploratore

1. Dal cinematografo al cinema: il montaggio come effetto speciale




Il cinema è una forma di spettacolo consistente nel proiettare su uno schermo immagini in movimento.
La sua nascita è fissata per convenzione al 28 dicembre 1895, data della prima proiezione pubblica dell'apparecchio inventato dai fratelli Lumière. Il cinematografo si rivela da subito una formula vincente per lo spettacolo delle immagini in movimento. All'indomani della prima proiezione pubblica e a pagamento del cinematografo, l'entrata del Salon Indien, ambiente adibito a sala, fa presa d'assalto da un pubblico ogni giorno più consistente tanto da dover organizzare un servizio d'ordine per gestire la folla. La stampa, invitata, fu assente. La prima immagine che appare sullo schermo è una panoramica della piazza Bellecour di Lione, seguita da L'uscita degli operai dalle officine Lumière a Lione, e da L'arrivo del treno alla stazione di La Ciotat, dove si scatenano le prime reazioni de pubblico dovute al realismo dell'immagine in cui il treno sembra non fermarsi e invadere la platea, prima di attraversare diagonalmente lo schermo.





Piazza Bellecour


Visto il grande successo, le proiezioni diventano sempre più frequenti e via via iniziano ad essere costruite sale permanenti, che si vanno affiancando ai già numerosi cinema ambulanti. Ai fratelli Lumière il merito di aver messo a punto e perfezionato il cinematografo, ma lo spettacolo delle immagini in movimento si associa al nome dell'inventore del cinema: Georges Mèlies. Illusionista e prestigiatore, definito dallo stesso Lumière come "il creatore dello spettacolo cinematografico", Mèlies si rifà alla capacità narrativa del teatro e della letteratura per inventare con la fantasia immagini elaborate capaci di catturare l'attenzione degli spettatori. Inventa la regia cinematografica e fa procedere ancora più profondamente il film sulla strada della spettacolarizzazione. I trucchi e il fantastico sono i due aspetti della rivoluzione che opera. Nel 1895 Mèlies adotta prima le pellicole di Edison, poi fonda la Star-Film e inizia a girarne di proprie. Con qualche difficoltà riesce a migliorare i propri strumenti e a sostituire nel teatro i numeri di magia con la "magica" proiezione di film di cui s'improvvisa produttore, scenarista, scenografo, regista e attore. Alla fine del 1896 Mèlies film la piazza dell'Opera a Parigi: la pellicola si blocca ad un tratto, ma in un minuto si rimette in marcia. Nel frattempo, la scena è mutata. Proiettando la pellicola, Mèlies vede improvvisamente un omnibus trasformato in altre cose. Il trucco della metamorfosi è trovato. Il film diventa così, un sistema di fotografie animate che acquista caratteri spaziali e temporali nuovi.
Nel 1897 Mèlies crea a Parigi un laboratorio di sviluppo che fungerà da teatro di posa. Lì vengono girati, fino al 1913, migliaia di film che avranno immediato successo in tutto il mondo. Inizia così ad essere imitato da altri produttori, specialmente negli Stati Uniti. Per ostacolare la diffusione all'estero di film contraffatti illegalmente, Mèlies introduce su ogni fotogramma il marchio della propria casa di produzione, la Star-Film, e deposita una copia di tutte le sue pellicole presso la Biblioteca del Congresso di Washington, dove si trovano tuttora. 

L'opera di Mèlies è di per sè sterminata e multiforme: durante la sua attività non smette mai di sperimentare nuove soluzioni tecniche ed espressive. Sfrutta le potenzialità del nuovo mezzo per la creazione di quel mondo barocco e ingenuo, sorprendente e irreale che già aveva ricreato nei proprio spettacoli. Usa il cinema, come lui stesso ha modo di dichiarare, "per rendere possibile ciò che era impossibile in teatro". Nei primi anni del Novecento alla produzione di scene comiche o illusioniste si aggiungono film dei tipi più diversi, dalla commedia romantica al dramma sociale, fino al tema politico da L'affaire Dreyfus




Nel 1900, accanto ai fratelli Lumière, inizia ad ideare spot pubblicitari, concepiti come una serie di trucchi e proiettati su uno schermo all'esterno dei teatri. Effettua, inoltre, esperimenti che lo portano alla scoperta, spesso casuale, di nuovi espediente tecnici, poi adattati alla creazione di trucchi per film di magia, basati sulla sparizione di oggetti o persone, ottenuta bloccando le riprese e riprendendole a sostituzione avvenuta, sulla lievitazione di oggetti tramite la ripresa a passo uno, sull'accelerazione e la retromarcia del movimento dei personaggi, il primo piano e la carrellata di particolari resi irreali.
L'Escamotage d'une Dame-foto di uno dei trucchi


In alcuni film, Mèlies sperimenta anche l'uso del colore, ovvero fa dipingere ogni fotogramma a mano in un laboratorio dove lavorano duecento ragazze, ottenendo effetti originali, come nella scena in cui due uomini di colore si schiaffeggiano a vicenda cambiando colore ad ogni colpo. Walt Disney farà poi tesoro di queste prime, geniali sperimentazioni.


Con il diffondersi delle aspettative che vedono nel cinema un testimone storico dell'assoluta attendibilità, Mèlies anticipa il tema della falsificazione o simulazione della realtà. Nel suo studio di Mountreil gira, ad esempio, le immagini dell'incoronazione di Edoardo VII prima che questa abbia realmente luogo: il ricorso agli attori mette in crisi l'idea che le immagini cinematografiche comunichino la verità delle cose. Siamo al cospetto della piena assunzione del cinema nell'ambito dei processi dell'immaginario collettivo. Il cinema accorda e raccorda i frammenti temporali secondo un ritmo particolare, che è quello dell'azione. Il montaggio unisce e ordina in una continuità la successione discontinua delle inquadrature. E' questo il ritmo che, partendo da serie temporali, ricostruirà un tempo nuovo, fluido. Il tempo è letteralmente truccato. Il passaggio dal presente al passato avviene senza ostacoli. 


Contemporaneamente alla metamorfosi del tempo, il cinema opera la metamorfosi dello spazio mettendo la macchina da presa in movimento e dotandola di ubiquità. Infatti essa esce dalla sua immobilità con la panoramica e la carrellata, perde la sua originaria rigidità, acquista progressivamente scioltezza, può piazzarsi in ogni angolo e "guardare" in un qualsiasi punto dello spazio. La qualità tipicamente cinematografica di fissare gli eventi nel momento in cui questi accadono non basta a garantire la penetrazione del medium nell'economia dei consumi culturali. L'istanza del "fantastico", già iniziata con i fratelli Lumière, viene ripresa e "spalmata" sull'intero corpo del cinema da Mèlies.


Il cinema si ritrova quindi, a rappresentare un tipo di immaginario che il pubblico di massa ritrova nella propria esperienza quotidiana. Diventa, insomma, lo specchio della nuova società.

mercoledì 10 aprile 2013

Premessa 2° Parte


Fino al 2002 erano pochi cinema attrezzati per la proiezione di film in digitale: 161 per l'esattezza, di cui metà negli Stati Uniti e una sola in Italia a Melzo, vicino Milano. Ma l'interesse di studiosi, registi, case di produzione e, in ultimo, delle grandi multinazionali dell'elettronica, sta crescendo sempre di più, seppur con obiettivi e secondo interessi differenti. 
I diversi scopi si ritrovano sostanzialmente nel modo di fare cinema. Le grandi major hollywoodiane hanno iniziato ad utilizzare le modalità di produzione digitale principalmente per creare effetti "straordinari", che stupissero il pubblico conducendolo in mondi irreali. L'intento è, quindi, di impressionare, meravigliare, colpire, fare un tipo di cinema che esalti scenari impossibili e immagini spettacolari. Tutto ciò contrasta, invece, con l'idea dei registi che hanno creato Dogma 95, secondo i quali il cinema deve ritornare al suo primario obiettivo: essere testimone del reale. 
Le videocamere digitali, maneggevoli e leggere, ma soprattutto vendute a prezzi accessibili, "democratizzano" il cinema. Ciò vuol dire che i film potranno essere realizzati anche con budget economici molto bassi e quindi da chiunque. Verranno offerti numerosi vantaggi, di conseguenza, ai giovani filmaker in possesso di un 'idea. Se di "rivoluzione cinematografica" si può parlare, il digitale ne è l'unico protagonista. 


Il cinema e l'uomo immaginario; immagini di sintesi e attori virtuali


Premessa 1°Parte

Esiste ancora una certa confusione riguardo alla definizione di "cinema digitale" nelle sue varie accezioni. Il termine "cinema" indica allo stesso tempo un'industria e un'arte, cioè un complesso di fattori produttivi e culturali. Il termine "digitale" definisce, nella sua accezione più generale, un metodo, quello del calcolo numerico, che ha trovato applicazione pratica in diversi campi: la fotografia, il cinema, l'arte, la musica e così via. 
A oltre cent'anni dalle prime produzioni dei fratelli Lumière, il cinema suscita ancora emozioni e meraviglia ed è diventato una componente essenziale e quotidiana della vita di ogni giorno. Il mezzo cinematografico è quello che più ha caratterizzato il XX secolo, partecipando attivamente al processo di trasformazione della società e riuscendo a stare al passo con il suo repentino cambiamento.
La cinematografia diventa, quindi, non solo rappresentazione ma soprattutto interpretazione della società. Si deve, a questo punto, sottolineare che il cinema è parte integrante del quadro degli sviluppi sociali e si costruisce sulla spinta delle loro dinamiche di attivazione. Il film riesce ad esprimere le tendenze e le aspirazioni dell'epoca nella quale viene prodotto, che contribuisce ad esporre e a sviluppare. Il cinematografo, fin dalla nascita, ha contribuito ad amplificare le aspettative e i bisogni del pubblico nei riguardi del consumo delle immagini, ricoprendo il duplice ruolo di testimone del reale e di "macchina dei sogni" capace di creare desideri ed illusioni. Da alcuni anni a questa parte è comparso, però, sulla scena un nuovo protagonista, che sta radicalmente modificando la sua immagina originaria: il digitale. Seppur il suo utilizzo non sia ancora standardizzato in ambito cinematografico, sempre più registi lo adottano. Le immagini digitali, portano il cinema ad allontanarsi dalla sua originaria funzione di rappresentante del reale. Le immagini di sintesi, create senza aver di fatto filmato nulla, danno la possibilità di programmare al computer mondi innaturali e quindi irreali, ma soprattutto di fare a meno degli attori, facilmente sostituibili con simulacri artificiali. George Lucas , produttore e regista celebre per la saga di Star Wars, è stato il primo ad utilizzare il digitale non solo nella realizzazione, ma anche nella distribuzione dei suoi film. Ovviamente poche sale cinematografiche hanno potuto trasmentterli in digitale, perchè non attrezzate. 
Dopo di lui altri registi hanno fatto questa scelta, spinti, in genere, da motivazioni economiche ed estetiche. Con il digitale, infatti, tendono a diminuire i tempi di produzione, la troupe è meno numerosa e viene eliminata una parte delle spese destinate al noleggio delle attrezzature, oltre a tutte quelle legate all'acquisto, allo sviluppo e alla stampa della pellicola. 
D'altro canto, la semplificazione del processo produttivo, la maneggevolezza delle videocamere e la particolare resa dell'immagine, tra realistico e iperrealistico, comportano una svolta in termini estetici e linguistici. Può essere interessante, pertanto, comprendere come la tecnologia stia prospettando nuovi scenari, che lasciano intravedere innumerevoli strade da percorrere per il cinema. Il processo di digitalizzazione interessa tutte le fasi produttive. Ormai non si girano quasi più film che non vengano montati con sistemi informatici. Questo processo è stato estremamente semplificato e velocizzato grazie ai supporti offerti dalla tecnologia digitale. Grazie a questi, il montaggio si può oggi realizzare elettronicamente: le scene precedentemente digitalizzate e salvate su hard disk vengono infatti tagliate, spostate e assemblate sullo schermo del computer. Ciò permette, principalmente, un grande risparmio in termini di tempo. La fase che, invece, si presenta maggiormente resistente all'introduzione delle nuove tecnologie è la distribuzione. Esistono, infatti, delle limitazioni di carattere economico che rendono difficoltosa la conversione della distribuzione al digitale, tanto che, attualmente, il girato in digitale deve essere riversato su pellicola per poter essere proiettato nelle sale.

Febbre da cavallo.

Lo stress di un genitore ha il suo apice quando i propri bimbi hanno la febbre. Ma non Una semplice febbre, un febbrone che non si c...