Negli ultimi anni è diventata quasi un'abitudine andare al cinema per assistere ad immagini spettacolari di straordinaria suggestione.
Procedendo con ordine il primato di film digitale spetta a Toy Story (di John Lassater, 1995).
In precedenza, la tecnologia digitale aveva già prodotto dei cortometraggi; il primo fu The Adventures of Andrè e Wally B. (di John Lassater, 1984). Immagini digitali, inoltre, erano state inserite in film come The Abyss (di James Cameron, 1989), che ha per protagonista una creatura fatta di acqua, e The Mask. Da zero a mito (di Charles Russell, 1994).
Solo in Final Fantasy (di Hionobu Sakaguchi, 2001) si vedranno, però, come protagonisti esseri umani non in carne ed ossa ma rigorosamente digitali. Il film è nato grazie ad anni di studio di duecento esperti di computer graphic: il risultato è stata una protagonista con una gamma espressiva estremamente ampia e realistica.
Un primo tentativo di ibridazione tra virtuale e reale è anche nella sequenza del lancio di Apollo 13 (di Ron Howard, 1995), con gli effetti speciali della Digital Domain: è stata filmata la piattaforma di lancio di Cape Canaveral, poi è stata scansionata la pellicola e rielaborata al computer eliminando gli edifici più recenti, aggiungendo erba accanto alla postazione e ridipingendo il cielo per ottenere un effetto cromatico particolare. Quindi la pellicola è stata trasformata in una costruzione tridimensionale per creare un set virtuale in modo da simulare il movimento, come se la telecamera avesse seguitp l'innalzamento del missile.
Non c'è più spazio nè tempo nel fluttuante mondo digitale e neanche per gli attori in carne e ossa, che forse, lentamente, potrebbero essere sostituiti dai loro equivalenti digitali senza stipendio.
Uno dei primi casi di sostituzione è avvenuta in Chi ha incastrato Roger Rabbit (di Robert Zemeckis, 1988), in cui il protagonista si trova ad interagire con un mondo popolato da cartoni animati.
L'uomo senza ombra ( di Paul Verhoeven, 2000) porta alle estreme conseguenze il tema dell'inconsistenza corporea attraverso il personaggio dello scienziato Sebastian Caine, il quale sperimenta un siero su di sè che lo conduca alla totale smaterializzazione. La trama si riferisce, infatti, proprio allo smaterializzarsi del corpo attoriale, visto che il protagonista verrà sostituito da un repertorio di effetti speciali.
Ma il digitale e la sua possibilità di condurre in un mondo virtuale portano alla ricreazione di mondi incantati nei quali immergersi, come in The Truman Show (di Peter Weir, 1998), il cui protagonista viene seguito 24 ore su 24 da telecamere nascoste e vive una vita virtuale a sua insaputa.
Diventa qui evidente la creazione di mondi nuovi, di realtà diverse dove sempre più spesso ci addentriamo quando guardiamo un film.
Come le immagini spettacolari della trilogia de Il Signore degli anelli (di Peter Jackson, 2003) che ci introducono in mondi popolati da creature innaturali come gli elfi o gli hobbit, in ambienti allo stesso tempo inquietanti ma favolosi dove le straordinarie battaglie che tanto successo hanno dato al film sono in digitale.
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